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Cento tifosi emozionati e commossi, davanti l’ingresso dello spogliatoio del palazzetto.

Cento tifosi emozionati e commossi, davanti l’ingresso dello spogliatoio del palazzetto. Cento anime orgogliose, capaci di accantonare lo sdrucimento di una passione. Cento urla e duecento mani battute, ritmate, all’unisono. In quei cento cuori e in quelle cento volontà, c’è solo un pensiero. Semplice e complesso, ragionato e istintivo, antico eppure attualissimo. “Grazie, ragazzi”. Grazie per aver portato a casa, da Torino, una vittoria epica, quasi senza un senso tecnico e tattico. Con un manipolo encomiabile di maglie granata: loro a sostenere (sì, proprio al contrario), il gruppo di tifosi universitari sugli spalti. Che arrivano a mezzogiorno davanti al parquet e iniziano a sentire forte i battiti che invadono petto, torace, polsi, cervello.
Si può vincere una partita di pallacanestro, catturando la metà dei rimbalzi degli avversari? Avrei risposto di no. Invece, è successo. Non può succedere a chiunque e dovunque. Può succedere solo a certe squadre. Di certe città. Di città in cui buttare la palla dentro il canestro avversario assume un significato che ha connotati di crescita sociale, di memoria, di appartenenza, di inclusione, di solidarietà. Chi più ne ha, più ne metta. È la magia della cultura di qualcosa. Delle competenze emotive di un popolo, che sa sorreggere i suoi eroi, ma chiede, al tempo stesso, di essere sorretto proprio da loro. Nossignori, non è un sogno che diventa realtà. È la realtà che è capace di superare i sogni. Proprio come la vita è capace di superare i copioni più fantasiosi dei film più visionari. È una spremuta di anima, che riempie il bicchiere di una domenica qualsiasi, di un posto qualsiasi come Trapani. Che non è un posto “qualsiasi”, se, però, parliamo di pallacanestro.
E adesso. Il problema. Che ce ne facciamo di tutto questo? Com’era ovvio, è stata sufficiente una settimana di tempo, quella successiva all’impresa di Torino, per far tornare la bruciante passione al posto in cui era prima. I carboni ardenti sono ridiventati timidi tizzoni, di cui intuisci la fluorescenza sotto la cenere. Le centinaia di “like” e i trionfali commenti che hanno accompagnato quella specie di miracolo, ovviamente, non ci sono più. È bastata la sconfitta contro la prima della classe per intiepidire gli animi (a proposito, chissà quanto ha contato il ritorno del biglietto a 14 euro nel calo del numero di spettatori presenti).
Abbiamo davanti a noi una salvezza possibile e un salvataggio (quello della società) molto più complicato. Per capire la salvezza, potrebbero bastare due o tre settimane per capire. E per il salvataggio?