Lui mi guarda negli occhi e dice: “Fabio, il Trapani va in serie B. Per un semplice motivo: ha un allenatore super (Vincenzo Italiano, ndr), che è un predestinato. L’ho sentito urlare come un ossesso alla fine della partita di Coppa Italia a Viterbo. Qualunque altro allenatore avrebbe considerato quella sconfitta come togliersi dall’impiccio di una manifestazione che può essere solo un ostacolo, quando hai in ballo la promozione in B. Invece, lui no. Urlava, urlava e ancora urlava. Italiano è uno che porterà il Trapani in B, Fidati”.
Sappiamo tutti come poi andò a finire. E so com’è andata a finire la mia amicizia con Giovanni Abate, un uomo di spessore e valore che ho avuto la fortuna di incrociare nella mia modesta carriera di giornalista. Non credo ci possa essere un tifoso del Trapani che non lo abbia amato: non solo per i suoi gol, ma soprattutto per come indossava la maglia. Senza risparmiare mai nulla delle sue energie.
La mia storia di ammirazione profonda per lui nacque la sera di un Trapani-Entella. Stadio pieno e siamo sotto 1-2. Boscaglia lo manda a riscaldare durante il secondo tempo di una partita molto complicata da rimettere in sesto. Giovannino è sotto di me, in tribuna, e inizia il suo riscaldamento. Prima piano, poi sempre più forte, fino a simulare scatti da gara. Con una cattiveria, una convinzione, da lasciare stupefatto anche uno come me che crede tantissimo nel carattere del calciatore. “Ma cosa immagina di fare se entra?”, pensavo fra me e me. Arriva il momento, Boscaglia lo chiama e Giovannino va in campo. Lui entra in campo sudato fradicio, già in clima partita. Cross, torsione perfetta del capo, colpo di testa sul secondo palo, dove il portiere non può arrivare. Salto dalla sedia e penso: “Questa partita lui l’ha pareggiata mentre faceva quel riscaldamento”. Così, l’indomani, in macchina, fermo al semaforo, penso ancora a quel riscaldamento. Accosto e gli scrivo un sms. Lui capisce che ho capito e da quel giorno nasce una bella amicizia.
Perciò, se c’è un momento in cui capisco poco di Trapani e del Trapani, il suo è uno dei numeri della rubrica che digito più volentieri. Mi metto lì e ascolto…
“Fabio, la serie D è durissima, soprattutto il girone I. Per vincere le partite, ci vuole una squadra compatta, uno staff compatto con la squadra. Poi, tanta fisicità, esperienza, giocatori che hanno fatto la categoria. La società deve essere seria e organizzata. Bisogna sapere mettere le persone giuste al posto giusto. Questa è una società nuova, che ha comprato dalla scrivania al centravanti. La squadra è pure partita tardi. Sono convinto che farà bene. E ancora: i giocatori devono capire cosa sia giocare per il Trapani”.
Che significa, Giovanni? Se tu andassi a cena con uno di loro, cosa gli diresti? “Di sapere per chi giocano. Di fare in modo di conoscere quattro o cinque tifosi del Trapani e ascoltarli, capire cosa chiede la gente. La gente di Trapani chiede solo che quando sei in campo, devi dare tutto. Poi, sappiamo che il calcio è fatto di risultati, ma Trapani è la città ideale per ripartire con un progetto nuovo. La gente ha pazienza, ti fa lavorare come si deve. Non ti chiede il dribbling spettacolare o il gol all’incrocio. Chiede massimo impegno. La pazienza è un elemento fondamentale per poter costruire dalla serie D un nuovo ciclo. Spero di avere un giorno la fortuna di poter tornare a lavorare per il Trapani. Io devo tanto a questa squadra e a questa città”.
Sì, però, dopo cinque anni di serie B, un po’ per il palato più fine, un po’ perché pensi spesso al passato, si corre il rischio di rimanere prigionieri dei ricordi. “No, bisogna azzerare tutto. E’ ovvio che questa è una piazza che ha sfiorato la serie A e adesso la cultura di calcio è cresciuta. Ma fare paragoni anche con gli ultimi calciatori importanti che hanno vestito la maglia granata non è giusto, né serve a chi oggi sta cercando di fare il suo lavoro nel modo migliore possibile”.
Serie D e C sono un inferno. Rischi di gettare via tanti soldi senza mai arrivare alla B, che è la prima categoria in cui arrivato introiti importanti. Come affrontare questo passaggio? “Torno sulla pazienza. Mai fare all-in. Rischi di fare sciocchezze. Basta guardare la progressività e la calma con cui il Trapani ha costruito i suoi anni migliori con Vittorio Morace. Un passo per volta. L’importante è essere tutti insieme, lottare insieme”.
Giovanni, dopo tanti anni ti posso chiedere qual è la partita che riassume meglio questo spirito del tuo Trapani? “Faccio fatica a scegliere. Ma se devo proprio dirne una, ricordo Trapani-Spezia 3-2. Ancora ad un quarto d’ora dalla fine eravamo sullo zero a zero. Poi, accadde il finimondo. E quando Brezovec, al 92′, calciò la punizione che diede loro il 2-2, ci tuffammo in attacco convinti di vincere. Tanto che arrivò il rigore di Christian (Terlizzi, ndr) che al 97′ ci regalò il successo. Quello era un gruppo che portava sulle spalle tutti i sentimenti dei tifosi”.
Grazie, Giovanni. A questo Trapani chiederemo solo questo…