La corsa di un allenatore che aveva sempre lasciato il palcoscenico ai calciatori, che non si era mai messo sotto le luci della ribalta. Quella corsa sotto la curva. Quella curva che ha cantato in ogni angolo d’Italia, che ha riempito i cuori di entusiasmo anche a Catania e Piacenza, nei giorni in cui non si sapeva che fine avremmo fatto. Rulli di tamburo e tutti a cantare, a fine partita: avvocati, operai, disoccupati e pensionati, dai sette ai settant’anni. Cori a cancelli chiusi dentro il Cibali.
Eravamo tutti furiosi per un 2-2 rubato, subito come un’ingiustizia. Ma dentro di noi sapevamo che saremmo arrivati fino in fondo. E in fondo siamo arrivati, un anno esatto fa, come oggi.
Quindici maggio 2019, davanti la curva, questa volta al Provinciale. Soliti ettolitri di birra e solita emozione: con Stefano Scognamillo, squalificato, e i suoi genitori, a fianco a noi. “Stefano, perché sei qui?”, gli chiediamo. E lui: “Perché questa gente lo merita”.
Bene, siamo la stessa gente. Se meritavamo dodici mesi fa, lo meritiamo anche oggi. Senza pudore. C’eravamo, e lo urliamo: fate presto. Decidete di chi sia il Trapani, altrimenti quella corsa è solo magone, solo rimpianto.
Quella corsa e quella passione. A Roma si discute, e a Trapani si muore. Nel rispetto, di questa passione, di questa curva, di cosa sia il calcio a Trapani, di chi crede che quelle cose di un anno fa abbiano un senso. Anche oggi. Fate presto: decidete di chi è il Trapani. Fateci combattere ancora. E’ l’unica cosa che chiediamo.
Nel ginepraio delle liti giudiziarie fra Maurizio De Simone e Fabio Petroni, rimaniamo in mezzo, spettatori inermi e preoccupati.
Non c’è un solo margine ragionevole di pensiero, per il quale possiamo scegliere di pensare solo al campo. Purtroppo le partite sono due. Di quella dentro il rettangolo di gioco, scandita da questi benedetti 900 minuti che rimangono (viene da dire, speriamo che siano di più), sappiamo tutto. Sappiamo che non sarà semplice, e sappiamo anche che ci dobbiamo attaccare a qualunque refluo favorevole di brezza.
Sappiamo che partire bene sarà fondamentale, che il Frosinone è una delle squadre più forti della serie B. Sappiamo anche che dobbiamo giocare sul tempo. Che mentre gli altri ci metteranno due o tre partite per capire che cosa stia succedendo, a noi tocca essere più svelti, di anima e di cervello.
Aggredire subito ciò che rimane nei nostri retropensieri del coronavirus, saper giocare subito con intensità e cattiveria.
Ci tocca entrare immediatamente in partita, prima degli altri, per bruciare le paure e il distacco in classifica.
Questo è un pezzo. Solo un pezzo della storia. Ed è il pezzo più bello, affascinante, che ci fa trepidare e inseguire il sogno da bambini. Quell’ineffabile passione per il pallone che rotola su un prato verde.
Poi, c’è l’altro pezzo. Quello fatto di carte bollate e signori con la toga. Quello che tu mi devi tre milioni e mezzo… no, tu ne devi 150 mila a me… anzi no, la prima battaglia giudiziaria l’ho vinta io… Quel pezzo che se ne parla da mesi e ormai viene anche male scriverne, perché lontano mille anni luce dalla passione della gente. Insomma, quella storia che vorresti non vivere. E che sei costretto a vivere.
Siamo in mezzo. Fra Petroni e De Simone, non credo che ci sia un solo trapanese che, se gli chiedessero da che parte stare, avrebbe dubbi. Siamo a un anno esatto dai giorni in cui capivamo bene una cosa: o andiamo in B, o ripartiamo da dietro, molto da dietro. E quel Trapani ci ha portato ad un paradiso di cui l’Alivision e Fabio Petroni ci hanno dato le chiavi.
Oggi, però, è un’altra cosa… Il problema non è da che parte stare. Il problema è che se non ci dicono di chi è il Trapani, affondiamo in questo mare di incertezza. È ovvio che nessuno metta un euro in una cosa che non sa se sia sua.
Ed è per questo che il Tribunale di Roma deve fare presto. Perché il Trapani, molto semplicemente, è giuridicamente ed economicamente di chi ne ha la proprietà. Ma “moralmente è dei tifosi”.
Non lo dice chi scrive, ma Pino Pace, il presidente di questo Trapani. E il Tribunale di Roma sembra non saperlo. O, almeno, essersene dimenticato. Fate presto!
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