Il mio ritorno a Trapani, dopo due anni di esilio forzato (era la stagione 85/86) fu dettato da una casualità. Giocavo con la maglia della Pallacanestro Siracusa, e una domenica pomeriggio di primavera il calendario prevedeva che dovessimo affrontare la Pallacanestro Paceco, alla vecchia “Tenente Alberti”. Il campionato era quello di C/2 e tutto sommato non avevo disputato un grande annata, direi che forse avrei meritato una sufficienza, nulla più. Quello, però, fu un pomeriggio particolare. Capita. Tutto quello che tentavo mi riusciva. C’era qualcuno a vedere quella partita e fu una fortuna. In fondo, a Siracusa ero solo in prestito e qualcuno decise che sarei dovuto tornare alla “casa madre”. Il lettore mi perdonerà questa lunga autocitazione, in realtà non avevo nessuna intenzione di parlare di me. Volevo solo raccontare che, al di là di ogni emozione che mi avrebbe regalato indossare la maglia granata per i tre anni successivi, una delle cose più belle che questo scorcio di vita mi avrebbe riservato sarebbe stato quello di incrociare Giacomo Genovese. Era assistant-coach di Bruno Boero (il primo allenatore che diede un’impronta professionistica nel fare basket a Trapani): la prima cosa che ascoltai, silenzioso, appena arrivato nello spogliatoio, fu di una partita della stagione precedente (nella quale ovviamente io non c’ero). Trapani-Roseto, con gli abruzzesi trascinati da un cecchino eccellente, tale Quercia, che nel primo tempo aveva trascinato i suoi compagni ad un vantaggio abissale. Nell’intervallo, Giacomo si avvicinò a Bruno Boero e, con il suo solito garbo, gli disse. “Coach, perché non cambiamo e passiamo a difendere quattro a zona e uno a uomo? Abbiamo l’uomo adatto per fermare Quercia e francobollarlo: è Totò Campolattano”. Boero lo guardò e annuì. Finì in trionfo, con rimonta epocale e vittoria finale. E’ lì, forse, che inizia la storia di Giacomo Genovese.
Ha compiuto 60 anni lunedì scorso ed è giunto il momento per ricordare come sia una vera memoria storica della pallacanestro di questa città. Una storia che, in realtà, era iniziata l’anno prima, con Mimmo Trivelli capo-allenatore, ma ha avuto infinito corsi e ricorsi storici, fino alla stagione 2014/2015, quando ha svolto il ruolo di assistente di Lino Lardo, un altro grande coach passato dalle nostre parti.
Boero lo soprannominò “Jason” e questo nickname gli è rimasto, tanto che “Jason” è il nome con cui è memorizzato il suo numero sul mio cellulare.
Parlare di Jason e delle sue qualità di uomo e allenatore non è semplice, senza scivolare nella piaggeria. Perciò, mi limito a dire, per onestà nei confronti del lettore, due cose: 1) gli voglio bene; 2) non gli ho fatto una vera intervista. Lunedì mattina, di buon ora, l’ho chiamato, e gli ho fatto gli auguri, dicendogli: “Jason, mandami una mail in cui mi dici tutto quello che pensi sia giusto raccontare di te. Di intervistare te, proprio non se ne parla… Mi sentirei ridicolo. E proprio con te non voglio sbagliare toni e contenuti”.
Ultima cosa, prima di dare spazio alle sue parole: citazione d’obbligo per i figli Francesco e Lollo. Degni prosecutori di una persona (prim’ancora che uomo di basket) di spessore e valori sani. Bravo Jason. E adesso: ecco tutto quello che Jason desidera raccontare di sé a sessant’anni appena compiuti.
1) “Che emozione ho provato quando il compianto Mimmo Trivelli mi chiamò come suo assistente, perché, a suo dire , intravedeva in me un futuro allenatore”.
2) “Ovviamente è un ricordo magnifico l’aver vissuto la splendida cavalcata che ci portò dalla B all’A1 in due stagioni sportive con la relativa crescita personale al fianco di allenatori navigati come Benvenuti , Sacco e Sales” .
3) “E poi, ricordo la ” spinta ” che mi diede lo stesso Benvenuti ad accettare il primo incarico da capo allenatore nel 1994/95 in serie B, a Porto Empedocle, che sancì l’inizio di una lunga carriera da capo allenatore in tanti posti d’Italia (Verga Palermo A/2 femminile, Trapani B/2 , Palermo , Gragnano, Catania, Bernalda, Arezzo , Massafra tutte in B)”.
4 ) “Un’altra bella gratificazione la ricevetti dall’allora CT della nazionale Carlo Recalcati, che nel 2003 mi conferì l’incarico di osservatore dei giovani che giocavano in B e che potevano essere futuribili . Fui convocato a più raduni (Teramo, Rieti) di quella nazionale definita sperimentale, come uno dei suoi assistenti . Uno dei ragazzi che segnalai fu Peppe Poeta che giocava a Salerno e che Recalcati non conosceva affatto. Conservo ancora la tuta della nazionale che indossai in quella occasione”.
5)Momenti meno piacevoli li ho vissuti in occasione dell’esonero dalla guida del Basket Trapani in B/1, che ho vissuto come una sconfitta personale ma che invece a distanza di tempo mi fece capire i miei errori”.
Ecco, caro Jason, non ho tolto nulla ai tuoi ricordi e ai tuoi primi sessant’anni. Ma un segreto lo aggiungerò. Nella chat di whatsapp “Pallacanestro Trapani Anni d’Oro” (dentro ci sono uomini ed ex giocatori che hanno scritto la storia dello sport della nostra città), alla quale immeritatamente sono stato aggiunto, alla pioggia di auguri che piovevano lunedì mattina, Jason, ha risposto così: “Grazie a tutti ragazzi. Avete contrassegnato il periodo più bello della mia vita, che nessuno potrà mai cancellare”. Ecco chi è Giacomo Genovese.
Grazie a te Jason. Fra vent’anni, ti chiederò un’altra mail di ricordi…
Fabio Tartamella