Il cellulare vibra nella tasca dei jeans e lo prendo distrattamente in mano. Non è un giorno qualsiasi. È il giorno che ci ha lasciati Vittorio Morace: il Comandante. Perciò, sono ore in cui la memoria scorre a prescindere dalla volontà. Corrono i pensieri, corrono. Al contrario di come accadrebbe in un altro giorno, cosa si sente alle spalle sembra più importante di ciò che sta accadendo e accadrà. È troppo forte il retaggio degli spruzzi di felicità pura che quell’uomo, Vittorio Morace, ci ha regalato. Troppo intense le sensazioni incise da quel Trapani, capace di mettere toppe anche sulle storie personali più sdrucite e sofferte della vita di ognuno di noi.
Perciò, quando sul display del telefono leggo “Roberto Boscaglia”, arriva un sussulto. Senza saperlo, è la chiamata che più avrei desiderato, è la frontiera della condivisione del dolore: l’unica vera consolazione che funziona nei momenti in cui ti pare che niente sia rimediabile. “Fabio – mi dice – come stai?”. “Roberto – rispondo – come vuoi che stia? È un giorno molto triste, oggi”. E lì ci sciogliamo un po’. È lui, Roberto Boscaglia, che parla e parla… “Un uomo fantastico, di un’umanità speciale. Nessuno di noi avrebbe avuto la stessa vita, se non ci fosse stato lui. Gli sarò sempre grato. Ti dico una cosa: anche quando sono stato esonerato, quando è finita la mia avventura con il Trapani, sono convinto che abbia preso questa decisione per il mio bene, che abbia pensato a me come persona”. Condivido anche questo.
Il tempo passa, ovviamente. Roberto Boscaglia aveva dietro di sè l’esperienza di Palermo e si accingeva a vivere quella di Foggia. Tappe non fortunate di una carriera che va avanti come la vita di ognuno di noi: gioie e dolori. Prima, infatti, c’era stata l’Entella, con l’incredibile promozione giocando ogni tre giorni. “A Chiavari, avevamo trovato motivazioni straordinarie nel pasticcio che combinanarono, tenendoci in bilico fra serie B e serie C per un’infinità di tempo. Il guppo si cementò e l’attenzione fu altissima anche l’anno successivo, in cui proseguimmo sulla strada giusta, facendo molto bene”. Poi, Palermo. “Città in cui mi sono trovato benissimo, ma con una società ancora inesperta. Certo, di errori ne ho commessi. L’allenatore non deve essere niente di diverso da un uomo che cerca di commettere il minor numero possibile di errori. Molti li si capiscono dopo. Le settimane di lavoro ti suggeriscono decisioni che la domenica non danno i frutti sperati. Ma ragionare con il senno di poi è facile. La verità è che, tornando indietro, rifaresti le stesse scelte, perché provi a dare una logica al tuo lavoro. A Palermo, rimane la sensazione di non essere stato seguito dalla società, che l’anno dopo ha vinto mettendo in pratica tutto quello che avremmo dovuto fare l’anno precedente”. Foggia e l’altra delusione. Strana la vita. L’idea era che Roberto Boscaglia fosse un tecnico più adatto a dare il meglio di sè nelle piazze calde, in cui la passione stringe la squadra, magari mette pressione. “Non la metterei così. Considero l’esperienza di Foggia come un capitolo chiuso che va oltre il calcio. Cinque partite appena: ci ho messo la faccia, in alcune situazioni non potevo fisicamente andare a lavorare. Le ragioni per cui si è interrotta questa storia di calcio non è il calcio stesso. Mi spiace molto per com’è andata, Foggia è una città in cui ho conosciuto molte persone perbene”. Si sente che non parla volentieri di un epilogo che tutti conosciamo. Le contestazioni feroci, l’esplosione sotto casa di una bomba carta. Vicende che sembravano appartenere ad un passato triste del calcio italiano, e invece tornano di stretta e triste attualità. Inevitabile il salto indietro. Il Trapani. Trapani. Dove tutto sembra essere diventato difficile. Ricostruire una realtà di valore è un’operazione complicata. “Sì, è difficile. Nella storia del nostro Trapani, vanno ricordate due cose: la prima è che l’intera città viveva un momento di crescita eccezionale. Noi ci siamo accodati, abbiamo cavalcato l’onda: c’era un’atmosfera irripetibile. Vero che quel Trapani regalò una mentalità vincente a tutta la città. Oltre a trovare un ambiente favorevole, però, ci fu un’altra circostanza straordinaria che ci avvantaggiò”. Si torna a lui. Al Comandante. “Impossibile pensare che nel calcio di oggi si possa trovare un presidente come Vittorio Morace. Tutti sanno come lui di calcio non se ne intendesse affatto. Ma era un fuoriclasse nella capacità di riconoscere il valore degli uomini ed esaltarne le qualità. Non c’è stata una sola cosa in cui non mi abbia seguito: ristrutturare il ‘Sorrentino’ con il fondo campo in erba, mettere la lavanderia allo stadio, avere la curva vicino al campo. Eravamo una cosa sola: tutti insieme. Dirigenti, calciatori, staff tecnico, presidente. Ognuno con il proprio ruolo, ma tutti insieme. Quella era una squadra che giocava interpretando lo spirito di una città, che la gente di Trapani sentiva sua. Il Trapani che rappresentava Trapani. È una costruzione difficile ma possibile”.
Da lì, quindi, bisogna ripartire. Fare di tutto per tornare tutti insieme. Facile a dirsi, non a farsi. Un esempio di come si faccia, però, ce l’abbiamo. È la nostra curva, che dimostra ogni domenica cosa significhi stare tutti insieme. “Il seme è stato gettato e la cultura di calcio costruita a Trapani non andrà più via. Arriverà il tempo in cui tutto ricomincerà a funzionare. Esattamente come sogna la città”.
Sono queste le parole con cui Roberto Boscaglia chiosa ogni ragionamento. Dentro, evidentemente, c’è anche un pezzo di cuore. Ci fidiamo, sperando che sia proprio così.
Trapani chiude l’andata superando Sassari. Final eight da secondi.
Dopo aver perso, on the road, in quel di Venezia, i granata conquistano il secondo posto in classifica (utile ai fini della griglia delle Final