La nostra amicizia è nata quasi per caso, sotto la curva dei tifosi dello Spezia inviperiti, per una partita persa (da loro) e vinta (da noi) con un finale che ha rischiato di spedire in terapia intensiva mezzo stadio Provinciale. Era un pomeriggio grigio e freddo di fine novembre, tirava maestrale e fino al 67′ eravamo sullo 0-0. Poi, uno dei giri più vorticosi sulla giostra della serie B. Catellani su rigore, 0-1. Ottantaquattresimo, Barillà di testa, 1-1; ottantasettesimo, Nadarevic in scivolata, sotto la nostra curva la spinge dentro. Sento i battiti che salgono vorticosamente, mi alzo della sedia, avviandomi verso l’ingresso dal quale si accedeva dal campo alla sala stampa. Mentre sto per scendere le scale,siamo al novantatreesimo, Brezovec calcia magistralmente una punizione: 2-2. Incazzato nero, entro in campo, convinto che fosse finita. Tutt’altro. Palla lunga, fallo su Citro in area: rigore. Sono già dentro il campo, sono saltati tutti i controlli e guardo da lontano Christian Terlizzi che si avvicina al dischetto: palla da un lato e portiere dall’altro. Triplice fischio. Non credo ai miei occhi, scoppio di felicità. Christian è in trance e riesce a fare arrabbiare tutti. In primis, i tifosi dello Spezia che lo insultano in ogni modo mentre festeggia sotto la nostra curva. Poi, pure quelli granata, perché è un ex dei liguri e, quasi a scusarsi, va e regalare loro i pantaloncini con cui ha giocato la gara. Ha appena segnato con freddezza il rigore della vittoria di una gara indimenticabile, diventandone l’eroe, ma riesce a mettersi contro tutti. Questo è Christian Terlizzi. Generoso, dal cuore infinito, ma caldo e tutt’altro che diplomatico. Classico calciatore non semplice da gestire per un allenatore. Discusso e discutibile, talento da vendere, ha esordito in Nazionale al fianco di Chiellini, vissuto una carriera invidiabile. Certamente lo metto fra i primi cinque talenti assoluti che abbiano mai vestito la nostra maglia.
Insomma, sono sotto la curva dei tifosi dello Spezia con lui che risponde, a uno a uno, agli insulti che gli arrivano (mi viene da ridere ripensandoci). Lo abbraccio, è alto quanto me, ci salutavamo appena fino a quel momento. Lo porto via, lui si fa trascinare, con uno sguardo mi chiede silenziosamente cosa stessi facendo, ma accetta. Una volta ci incontriamo per strada. Giù una risata, e poi andiamo a cena. Vediamo Juve-Milan. Io da sempre juventino, lui antijuventino. Rigore per la Juve all’ultimo respiro. Ammette candidamente “c’era”, e io gli faccio: “Christian, difficile non dare un rigore così allo Stadium all’ultimo secondo. Sei mai stato allo stadio della Juve?”. Lui mi guarda e con pudore mi dice: “Guarda che ci ho giocato”. Cado dal pero, faccio un giretto subito su youtube e trovo Juve-Siena. Traversa di Terlizzi, che, come si dice da queste parti, ancora trema…
Ha giocato a Trapani, Palermo e Catania, è un siciliano calcistico di adozione. Vuole bene alla nostra terra, portandosi dentro un sentimento contrastante, quasi da siciliano “da mare aperto”, come li definiva il maestro Andrea Camilleri. Eppure è di Roma. “Io sto male per come è messo il calcio siciliano – dice – perché la gente è vera, i tifosi sono passionali, meritano tanto. Probabilmente, però, dobbiamo imparare ancora molto. Mi ci metto anche io. Sono scomparsi gli imprenditori veri che fanno calcio. Catania è una piazza spettacolare, ma non può reggere la struttura di Torre del Grifo con gli introiti della serie C. Palermo è un altro gran posto per fare calcio: ma ricordo, quando arrivò Zamparini, che nei posti chiave della società mise tutti quelli che erano arrivati da Venezia. E’ un peccato: non è che in Sicilia manchino le competenze, ma evidentemente dobbiamo prendere un altro piglio nel lavorare. Trapani, poi. Dopo un imprenditore di grande spessore come Morace, chi è arrivato dopo ha trattato il Trapani soltanto per farsi i propri affari. E voglio essere morbido…”.
Rimane l’esperienza dell’uomo di calcio. Se fosse stato davvero meno sanguigno avrebbe sicuramente fatto decollare la propria carriera ancora più in alto. Ma lui è così, ed è orgoglioso di esserlo. Ha avuto fiori di allenatori, “ma il migliore tatticamente e tecnicamente rimane Giampaolo. Sai qual è il suo problema? Ha paura di qualsiasi cosa, vive nell’ansia. Peccato, perché sarebbe stato un grandissimo”.
Parte il ricordo di Trapani, con dolori (“anche se non sembra i tifosi sono un po’ polemici) e gioie (“che vittoria quella sullo Spezia”). Oggi gestisce a Roma un circolo in cui il padel la fa da padrone, ma pensa sempre al calcio e a come tornare in carreggiata. Un anno da allenatore degli Allievi della Lazio e adesso ad attendere l’occasione buona. Per un’altra corsa, un’altra incazzatura, un’altra emozione. “Impegno le mie giornate, ma la mia testa e i miei pensieri sono sempre rivolti al calcio. E’ lì che tornerò: su qual manto verde”.
Fabio Tartamella