Qualcosa avremo sicuramente sbagliato. Il Covid e la guerra non possono certo giustificare la malinconia e la tristezza nella quale Trapani è sprofondata. Una città che ha fatto e continua a fare mille passi indietro nella qualità della vita, nelle sensazioni che infonde, nella povertà culturale che trasmette. Un’involuzione che si sente a pelle, si appiccica addosso, è in grado di affacciarsi nella nostra anima in ogni momento della giornata. E’ uno stillicidio che attende impazientemente una svolta: magari, la speranza è che in primavera e in estate torni ad affacciarsi qualche turista che ci restituisca un po’ di circolazione di denaro e qualche sorriso.
Abbiamo fatto mille passi indietro in ogni maniera: siamo tornati a prima dell’America’s Cup, al grigiore di giornate e settimane trascorse senza un sussulto, un solo motivo per spiegare ai nostri figli che non devono scappare via subito dopo il diploma. Anzi, viene da far vedere loro la struggente parte di “Nuovo Cinema Paradiso” in cui Philippe Noiret urla a Totò: “Vattinni e un turnari cchiù. Non ti fare fottere dalla nostalgia. E se torni indietro, non ti apro la porta di casa. Vattinni!”.
Se c’è qualcosa che rappresenta iconicamente tutto questo è lo sport di questa città. C’è la piacevole novità della pallamano, ma il resto è da depressione. C’è la Pallacanestro Trapani, che da più di un decennio è meritevolmente in A2, ma non solletica più fantasia e passione. Che registra un preoccupante calo del numero di spettatori, accompagnato da una comprensibilissima riduzione del budget. Si vedrà quale evoluzione avrà questa storia, anche perché, in qualche modo, l’acquisizione del Palagranata da parte di Pietro Basciano e Gregory Bongiorno ha comunque suscitato qualche speranza, soprattutto nei tifosi storici che ricordano le epiche gesta degli anni Novanta. E’ indubitabile che la pallacanestro dovrà tornare a far battere i cuori per restituire alla città un pezzo importante della propria cultura. A prescindere dalla categoria.
Nessuno, proprio nessuno, soprattutto a livello istituzionale, ha capito quale sia la rilevanza che lo sport possiede, proprio dal punto di vista culturale, nella cifra emotiva e nello spessore di Trapani. E’ una corsa a chi sa ostacolare al meglio le potenzialità della città. A partire dalla questione degli impianti, ormai considerati un impiccio archeologico. La situazione delle palestre e degli impianti a Trapani è vergognosa. Non ci sono altri aggettivi per definirla. Alle nostre giovani generazioni viene rubata ogni giorno la possibilità di fare sport. Vergogna. Chi di dovere ci metta mano prima possibile, trovando qualsiasi soluzione. E’ il furto più palese e impunito che stiamo compiendo nei confronti del nostri figli.
In questo desolante quadro, poi, c’è da capire il Trapani. Da sempre riferimento della città anche più bui. E’ diventato tutto difficile, forse troppo difficile.
E’ tempo di proporre, almeno di tentare di farlo, un’analisi di quanto sta succedendo. Non ne faccio una questione di categoria, ma di modalità. La mia memoria, per provare a capire qualcosa, affonda le sue radici fino al 2007. Dallo spareggio salvezza (campionato di Eccellenza), vinto 5-0 ad Alcamo contro il Terrasini (era l’anno della penalizzazione di 12 punti) è visibilmente iniziata un’altra storia. Certo, il Trapani di Andrea Bulgarella e Ignazio Arcoleo aveva spiegato che anche qui si può fare calcio di alto livello: gli rimarrà per sempre il merito di aver gettato il primo seme di una cultura vincente del calcio nella nostra città. Poi, però, dopo un decennio di letargo, quel pomeriggio vissuto ad Alcamo ci ha aperto le porte di un’altra epoca.
Non c’è bisogno di fare necessariamente riferimento alla notte di San Siro o alla finale persa contro il Pescara per sentire sotto la pelle cosa eravamo diventati. E, si badi bene, non è stata solo una questione di soldi. Abbiamo giocato contro il Palermo di Dybala e Belotti con Priola (con il massimo rispetto per l’ottimo Giusto) titolare. Pareggiato contro l’Empoli di Sarri, Rugani e Mario Rui con Giovannino Abate impiegato da terzino. Abbiamo perso (vado a casaccio) a Mazara (serie D) con un gol incassato all’inizio e poi 90 minuti trascorsi senza riuscire a fare due passaggi di fila. Abbiamo perso 6-0 a Livorno; gettato via una salvezza quasi ottenuta subendo una sconfitta casalinga dal Cesena, che a sua volta festeggiava la permanenza in serie B negli spogliatoi del Provinciale poco prima di scendere in campo; perso a Marsala contro il Petrosino per 1-0; abbiamo fatto tremare l’Inter in diretta su Raidue, ma anche perso a Favara per 2-0. Ne abbiamo viste e vissute di ogni tipo. Siamo diventati una testuggine. Un corpo unico. Eravamo un problema per chiunque giocasse contro di noi. Un esempio fulgido di come si costruisse, con il calcio, un pezzo di storia dentro la storia della città.
Ci siamo fatti rubare la serie B senza controllare né sorvegliare cosa stesse accadendo, ospitando gli autori del “furto” nella sala della nostra casa comunale. Abbiamo fornito il nostro lasciapassare a personaggi discutibili e lo abbiamo negato ad altri che erano pronti ad investire. Eppure, oggi basta fare in giretto su Google per capire con chi si ha a che fare.
Ecco cosa vorrei. Semplicemente che riscoprissimo la cultura di sport accumulata in quindici anni. Che ci svegliassimo e capissimo cosa ci sta accadendo. A me non fa male essere in serie D e perdere le partite. A me fa male non sentire più di essere parte di quella testuggine che eravamo. Sappiamo come si fa ad esserlo. Proviamo a tornare come eravamo.